Con il D.Lgs. del 15 dicembre 2018, n.135, convertito in Legge n.290/2018 e recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione (il cosiddetto “Decreto Semplificazione”), il Governo Conte ha apportato importanti modifiche al regime previsto in materia di esecuzione forzata e, in particolare, agli articoli del Codice di Procedura Civile che ne regolano sotto alcuni aspetti l’iter (artt. 495, 560 e 569 c.p.c.).
La riforma delle procedure esecutive si è concentrata, innanzitutto, sull’istituto della conversione del pignoramento di cui all’art. 495 c.p.c.: sebbene già la precedente formulazione riconoscesse al debitore pignorato la facoltà di evitare l’esecuzione del pignoramento attraverso la sostituzione dei beni pignorati con una somma di denaro (comprensiva del capitale, degli interessi e delle spese, oltre a quelle di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori eventualmente intervenuti), da depositare presso la cancelleria del Tribunale, con l’attuale formulazione è stato ridotto il quantum da versare a titolo di conversione (da un quinto a un sesto della somma complessivamente dovuta al creditore procedente), così favorendo la posizione più debole nella procedura esecutiva. Tuttavia, per non incorrere nell’ingiusta costrizione dei diritti spettanti al creditore procedente (o ai creditori, qualora siano intervenuti), se il pignoramento ha per oggetto beni immobili o mobili, il giudice può altresì disporre, in presenza di giustificati motivi, che la somma determinata per la conversione sia corrisposta dal debitore ratealmente, entro il termine massimo di quarantotto mesi (anziché trentasei, come nella precedente formulazione); infine, qualora si verifichi un ritardo nei pagamenti dilazionati di almeno 30 giorni (e non più 15) le somme eventualmente già versate entreranno a far parte del complesso dei beni pignorati.
Ma le novità del Decreto Semplificazione non si limitano a questo.
Nell’ipotesi in cui il debitore pignorato vanti un credito (certificato dalla piattaforma elettronica per la gestione telematica per il rilascio delle certificazioni) nei confronti della Pubblica Amministrazione per un importo pari o superiore al debito, a norma del novato art. 560, comma III, c.p.c., con decreto di cui all’articolo 586 c.p.c. il giudice dispone il rilascio dell’immobile per una data compresa tra il sessantesimo e novantesimo giorno successivo a quello della pronuncia del medesimo decreto. Come appena visto, le modifiche apportate all’art. 560 c.p.c. si concentrano in particolar modo sul terzo comma, lasciando in pratica invariata la precedente disciplina (come modificata dalla precedente riforma del 2016, con D. L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni dalla L. 30 giugno 2016, n. 119) dettata per minimizzare i tempi di esecuzione degli sfratti immobiliari e consentire alle banche creditrici di procedere alla vendita degli immobili in tempi brevissimi.
Nonostante gli sforzi del Legislatore, la disciplina riformata è ancora lontana dal combattere del tutto il fenomeno dei cosiddetti “crediti deteriorati” (anche detti N.P.L., Non Performing Loans), ovvero delle somme spettanti alla Banche creditrici, il cui ammontare si aggira intorno ai settanta miliardi di Euro, al netto delle svalutazioni già effettuate. Sebbene una buona parte di essi sia garantita (da pegni o ipoteche), l’attività di recupero effettivo di tali somme appare ardua e impegnativa; nemmeno i 7 anni di tempo assegnati – seppur non ancora in via ancora definitiva – dalla BCE per coprire questi crediti ad alto rischio rischiano di essere sufficienti per recuperare il maggiore valore possibile.